Juve imbattuta e italianissima: check up (e novità) della capolista

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21 dicembre 2011 - La Juve che comanda il campionato dopo 15 partite è un fatto nuovo nel dopo Calciopoli e un indizio di solidità. Ormai non è più il caso di parlare di svolta decisiva prima di ogni match importante, come è successo alla vigilia della Lazio, poi con il Napoli e adesso, ci scommettiamo, con l’Udinese. Qualsiasi risultato si verifichi domani non apporterà cambiamenti drastici al giudizio maturato in oltre un terzo del cammino. La Juve c’è, ha un gioco, una fisionomia, un carattere. Non si può fare di ogni partita una verifica, ormai se ne sono visti i pregi e i difetti.

Cosa funziona.
Partiamo dai primi. Molti sottolineano il cambiamento di mentalità. L’anno scorso ascoltammo Del Neri consolarsi per l’eliminazione dall’Europa League contro polacchi e austriaci, dicendo che la Juve usciva senza avere mai perso. Conte non lo direbbe mai e il modo diverso di valutare un risultato si trasmette ai giocatori. La mentalità è sorretta da una condizione atletica eccellente, sui livelli del primo periodo con Lippi, e da un’organizzazione di gioco chiara: chi ha la palla sa a chi darla, c’è movimento, in rarissimi casi ci si rifugia nei lanci sparati dalla difesa che era (ed è) una caratteristica di Ranieri e in parte dei suoi successori. Pirlo è stato fondamentale nella trasformazione verso il controllo del gioco, soprattutto nei primi due mesi quando negli altri non c’era l’abitudine. Il movimento corale e la velocità hanno esaltato chi sa inserirsi meglio negli spazi, Marchisio e Pepe, non a caso i due goleador del momento.

Cosa va migliorato.
Il palleggio è perfettibile, soprattutto nei difensori che talvolta sono in affanno. Ma il difetto più serio è nell’incapacità di trasformare in gol il volume di gioco e di occasioni: a occhio siamo a 1 su 3-4, contro il Novara a 1 su 6-7. Non ci pare soltanto un problema di mira. Prendere alla lettera il concetto che ci si deve passare la palla può diventare una zavorra in area di rigore dove bisogna essere essenziali e concreti: l’esempio è Trezeguet che toccava due palloni a partita e almeno uno finiva in rete. La Juve ha attaccanti che partecipano alla manovra, con un incredibile miglioramento di Matri, però dovrebbe inserire un vero finalizzatore: non è sempre possibile creare occasioni in quantità industriali col lusso di sprecarle. Servono un difensore come alternativa in mezzo alla difesa (o un terzino che liberi Chiellini dai compiti di esterno) e un centrocampista. Conte è stato umile e intelligente nel cambiare il timbro tattico però ora abbonda di ali inutilizzate mentre gli manca un centrale: l’interesse per Palombo che sa fare benino sia il regista che l’incontrista è accettabile. Tanto di fenomeni a gennaio ce ne sono pochi al giusto prezzo.

 Prospettive.
Con Ranieri dopo 15 partite la Juve aveva 29 e 30 punti, con Ferrara 30, con Del Neri 27. Ora ne ha 33, la differenza non è abissale: nelle ultime tre stagioni i bianconeri a dicembre erano ancora in corsa per lo scudetto o almeno per un posto tra le prime tre. Il calo, negli ultimi due casi il crollo, si verificò dopo la sosta e in primavera. Perché la storia non dovrebbe ripetersi? Primo: perché quando una squadra ha un gioco preciso è meno condizionata dagli alti e bassi dei singoli, Pirlo a parte. Secondo: perché è oggettivamente un aiuto giocare una sola partita a settimana benché con Del Neri il crollo sia avvenuto dopo l’eliminazione dalle Coppe. Terzo: perché mai come quest’anno non si vedono squadre che possono imporre una differenza irrecuperabile. Neppure il Milan.

Fonte: La Stampa (articolo a firma di Marco Ansaldo)

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