Scudetto 2006, Guido Rossi: "Non avevo altre telefonate"

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La Juventus non ci sta. Dopo la decisione di non decidere presa oggi in Figc sulla revoca dello scudetto all'Inter, il club bianconero pubblica un duro comunicato sul suo sito ufficiale, in cui annuncia che la battaglia non finisce qui, ma andrà avanti "presso la giustizia amministrativa e internazionale".

ECCO IL COMUNICATO:
L'esito dell'odierno Consiglio Federale conferma la completa disparità di trattamento per situazioni analoghe.

L'esposto presentato 14 mesi fa dalla Juventus ha permesso un approfondimento, al quale purtroppo non ha fatto seguito nessuna assunzione di responsabilità da parte degli organismi sportivi, che anzi si sono spogliati del loro ruolo politico di governo. È del tutto evidente che, a tutela dei suoi milioni di tifosi, dei suoi azionisti e dei suoi dipendenti, la Juventus debba proseguire nel doveroso accertamento dei fatti e nella ricerca della parità di trattamento.

La società ha pertanto dato mandato ai suoi legali di individuare i migliori strumenti di tutela presso la giustizia amministrativa e internazionale. Parallelamente il management e i legali stanno procedendo alla valutazione dei danni economici che tali comportamenti possano aver cagionato. Dal momento che la decisione odierna è lontana dall'aver ristabilito equità e giustizia, la Juventus intende far valere in ogni sede competente le norme internazionalmente applicabili.
Non l’hanno scritto Stieg Larsson o Camilleri, ma in fondo sempre giallo è. La puntata trasmessa ieri ha questo titolo: «Non sapevamo nient’altro». Cioè: conoscevamo le telefonate delle squadre e dei tesserati sotto processo sportivo e niente più. Se si vuole, si può pure cambiare incipit e partire così: «Ricompare Guido Rossi». L’uomo dell’assegnazione dello scudetto 2006 o meglio, del mancato esercizio del potere di «non assegnazione». Il commissario della Federcalcio dell’era di calciopoli ha deciso infatti che il silenzio avrebbe danneggiato la sua posizione. E così venerdì è arrivata in Federcalcio la sua verità: non un intervento pubblico ma una comunicazione scritta al Consiglio federale.




Non l’hanno scritto Stieg Larsson o Camilleri, ma in fondo sempre giallo è. La puntata trasmessa ieri ha questo titolo: «Non sapevamo nient’altro». Cioè: conoscevamo le telefonate delle squadre e dei tesserati sotto processo sportivo e niente più. Se si vuole, si può pure cambiare incipit e partire così: «Ricompare Guido Rossi». L’uomo dell’assegnazione dello scudetto 2006 o meglio, del mancato esercizio del potere di «non assegnazione». Il commissario della Federcalcio dell’era di calciopoli ha deciso infatti che il silenzio avrebbe danneggiato la sua posizione. E così venerdì è arrivata in Federcalcio la sua verità: non un intervento pubblico ma una comunicazione scritta al Consiglio federale.

All’oscuro. E’ stato Abete a svelare il contenuto delle parole di Rossi, secondo cui non risultavano a lui e all’Ufficio Indagini presieduto allora da Francesco Saverio Borrelli, informazioni su «tesserati diversi da quelli oggetti di deferimento». Quindi, né lui né l’ex capo del pool di mani pulite erano a conoscenza dell’identità dei protagonisti delle telefonate bis, anzi delle stesse telefonate dell’Inter e delle altre sette squadre analizzate nella recente relazione Palazzi. In pratica, nei quattro mesi della sua gestione da commissario, da maggio a settembre 2006, Rossi non ebbe sentore di nessuna posizione accantonata rispetto a quelle su cui si stava indagando e che avrebbero affrontato i tre gradi della giustizia sportiva. Una posizione che in qualche modo sembra scaricare ogni eventuale responsabilità su chi gestì l’inchiesta penale, il colonnello Auricchio e i pm Beatrice e Narducci.

Fonte: La Gazzetta dello Sport (articolo a firma di Valerio Piccioni)

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