Questa intervista è per Giulia e suo marito Rossano, per Carla e Giancarlo, per Mimmo che se vorrà metterla nel suo museo ne sarò onorato.
Alessandro Magno
Intervista a Francesco Caremani
(Francesco Caremani in occasione del ventennale sul luogo dove sorgeva la rete che divideva gli Inglesi dagli Italiani)
(Il libro)
Francesco Caremani giornalista, scrittore, noto tifoso juventino, conosciuto al pubblico soprattutto per il suo impegno: la ricerca della verità sulla triste vicenda dell’Heysel.
1. Ciao Francesco cercherò di farti delle domande diverse dalle consuete, intanto ti ho presentato bene?
«“Noto tifoso juventino”? Non direi, per vari motivi (e non per colpa mia). Il primo e più semplice è che da ragazzo tifavo Juventus, nel senso più appassionato del termine, ma oggi non mi riconosco affatto nella parola “tifoso” dietro la quale si nascondono in troppi dopo aver detto e fatto le peggio cose. Il secondo, banale, è che sono un giornalista, ho fatto tanta fatica per diventarlo e secondo me un giornalista tifoso non è un buon giornalista; un giornalista deve essere credibile piuttosto che tifoso e le due cose spesso (nel calcio italiano) sono l’una contraria dell’altra. Il terzo risale a qualche tempo fa, dopo una bellissima presentazione del libro sull’Heysel a Mantova con Bruno Pizzul su Facebook arriva un commento che augura la morte all’ex telecronista Rai accusato di essere antijuventino, cosa per me inaccettabile, così controbatto in maniera forte e decisa, la risposta? Guai a me se mi consideravo juventino (e non era la prima volta). Oggi c’è tanta voglia di rilasciare patenti, di mettere le persone in un contenitore (forse perché chi ha un pensiero indipendente, non catalogabile, crea diffidenza, paura, panico, crisi d’ansia, come una figurina fuori posto, ma per fortuna siamo uomini), con me o contro di me. Ho 43 anni e ‘vengo’ da un altro calcio, un calcio in cui gli avversari si ammiravano, dove s’imparavano ad amare quando vestivano tutti insieme la maglia della Nazionale, l’odio verso la quale per me è pura blasfemia, quindi puoi ben capire quanto le ragioni (se di ragione si tratta) del tifo siano lontane dal mio modo di pensare, intendere e raccontare il calcio, lo sport più in generale. Se penso a me come tifoso penso a me come tifoso della Nazionale. Però, c’è un però, c’è stato un momento in cui molti giornalisti che fino al momento prima avevano beatificato la Juventus le si sono rivoltati contro per mera sopravvivenza (gli stessi che adesso le si stanno riavvicinando), per contingenza e puro calcolo personale. Ecco, quando non conveniva non ho nascosto la mia passione giovanile e la squadra per cui facevo il tifo (che poi ti resta attaccata addosso per sempre), sono fatto così, sono un giornalista nel bene e nel male, quello che conviene lo lascio agli altri, tifosi compresi, come dimostra il libro sull’Heysel: se una cosa è accaduta, quindi vera, lo è a prescindere dai colori sociali. A pensarci bene sono anch’io un ultrà: del giornalismo e delle cose in cui credo, come il fair play, per esempio. Poi siamo in democrazia e ognuno può affibbiarmi le patenti che vuole, questo non cambierà quello che sono, tanto meno le mie idee. Ovviamente grazie per il “noto”, troppo buono».
2. Sinceramente, ti spiace essere conosciuto più che altro per i tuoi scritti sull’Heysel, dato che è una vicenda triste e in fondo hai scritto tanti altri libri, o è un qualcosa che non ti pesa affatto?
«Il mio nome è legato indissolubilmente all’Heysel (grazie a Otello Lorentini, già presidente dell’Associazione fra le famiglie delle vittime di Bruxelles, voce narrante del libro) e in un Paese dove si cerca di dimenticare, soprattutto le tragedie con precise responsabilità, capisci quanto abbia pesato e pesi dal punto di vista professionale. A me non interessano le mode (complimenti a chi sa cavalcarle; oggi, per esempio, va a ruba il giornalista schierato) a me interessa fare le cose giuste e l’Heysel lo è stata. Questa domanda mi ha fatto molto piacere perché quando uno fa il giornalista sportivo si occupa di tanti argomenti diversi, è un cammino con tante tappe, alcune più corte altre più lunghe, alcune sono delle semplici gare in linea, altre parte di un tour, alcuni di questi hanno una conclusione, altri no, ci accompagnano nel nostro cammino professionale. Se c’è una cosa che amo del mio lavoro sono le persone, quelle che racconti, quelle che incontri per caso, ognuna ti resta attaccata addosso in maniera diversa, come nella vita di tutti i giorni. Otello Lorentini è una di queste, una di quelle persone che porterò sempre con me, perché mi ha insegnato tante cose, come la dignità, la voglia di giustizia e verità, l’amore incondizionato per i figli (lui al suo, morto all’Heysel, ha dedicato tutta una vita), l’umiltà e l’orgoglio di chi ha tutto da perdere e scende ugualmente sul campo di battaglia con le poche certezze che possiede: se lo dovrebbero ricordare soprattutto quelli (troppi) che parlano (troppo spesso) a vanvera di ciò che è accaduto il 29 maggio 1985 e dopo. Io ho scritto altri libri, alcuni più belli dal punto di vista squisitamente narrativo, ma per tutti i motivi che ho elencato quello sull’Heysel resta il più importante».
3. A distanza di molti anni per chi vuole cercare e informarsi c’è direi abbastanza materiale, ritieni sia stato scritto tutto sull’argomento, c’è ancora qualche zona d’ombra?
«Io ritengo che sull’Heysel sia stato scritto tutto, per chi vuole sapere e per chi vuole informarsi decentemente, ma non solo grazie a me, anzi credo sia opportuno citare altri autori, quattro in particolare: Nereo Ferlat, Jean-Philippe Leclaire, Domenico Laudadio e Riccardo Gambelli. In verità, una zona d’ombra è rimasta, difficile da illuminare dopo tanti anni. Il settore Z era destinato a un pubblico neutrale o a chi accaparrava per primo i biglietti? Vista la divisione dello stadio è facile pensare alla prima ipotesi e allora cos’è accaduto? Da qui il secondo quesito: chi ha spacciato in Italia i tagliandi della curva Z? Quanto ci ha guadagnato? Poi basta leggere i racconti di chi per avere un biglietto all’ultimo minuto si è ritrovato nella famigerata curva, chi invece è riuscito a cambiarlo perché non voleva portare il figlio in quel posto così vicino agli inglesi e così via. Dopo quasi 28 anni capisco che può sembrare come discutere del sesso degli angeli, ma alla fine è iniziato tutto da lì, nonostante nello stadio ci fossero altri posti disponibili, come dimostrato da chi è riuscito a scappare dopo la tragedia».
4. Un fatto che mi ha sempre incuriosito e credo nessuno ti abbia mai chiesto se non io privatamente. Chi è quell’uomo sulla copertina di: «Heysel, le verità di una strage annunciata». Cosa sta facendo e se ti è mai venuto in mente di cercarlo o se lui si è mai riconosciuto in quella foto?
«La foto è di Salvatore Giglio, come tutte le altre nel libro, ed è storica: chi non ricorda la copertina del Guerin Sportivo diretto da Italo Cucci col titolo “Olocausto”, a me ne hanno regalata una copia e quando con Bradipolibri abbiamo ripubblicato il libro nel 2010 l’abbiamo scelta per la copertina, anche se meno cruda dell’originale. L’uomo disperato esprime tutta la follia dell’Heysel: morire per assistere a una partita di calcio, inaccettabile, ieri come oggi. Una foto che racconta tutto prim’ancora di leggere il testo. L’uomo con lo sguardo rivolto al cielo e che, presumibilmente, si chiede perché, com’è potuto accadere, tiene la testa di un altro tifoso sulle ginocchia, in mezzo alla calca e ai soccorsi. Non so se si sia mai fatto vivo con Giglio o il Guerin Sportivo e senza le fonti è stato impossibile sapere chi fosse».
5. Il tuo libro che sopra abbiamo citato è stato definito “La Bibbia sull’Heysel”, vorrei sapere se sai chi ha coniato questa definizione, se ti lusinga come credo di si e perché è considerato tale?
«È stata Emanuela Casula, che a Bruxelles ha perso il padre, Giovanni, e il fratello, Andrea, la vittima più piccola. Nel 2005 Sky produsse un documentario sui vent’anni dell’Heysel e in quell’occasione, dopo essere stati ad Arezzo dalla famiglia Lorentini e da me, riuscirono a contattare Emanuela che viveva vicino Roma. Parlando col giornalista di Sky lei pronunciò quelle parole riferite al mio libro, il collega fu poi così corretto da riportarmele. Per me valgono più di qualsiasi recensione o classifica di vendite, sono la consapevolezza che ho fatto la cosa giusta e che l’ho fatta nel migliore dei modi, da giornalista, appassionato, arrabbiato, di parte (come spiega bene Roberto Beccantini nell’introduzione), e da uomo. Con Emanuela ci siamo sentiti più avanti, sono rimasto molto colpito dalla sua lucidità e dall’elaborazione di quella tragedia, da come era rimasta sorpresa dalle scuse di Marco Tardelli che da Giovanni Minoli vedeva per la prima volta certe immagini. Senza dimenticare che Otello Lorentini, il quale in curva Z ha perso l’unico figlio Roberto (medaglia d’argento al valore civile per essere morto tentando di salvare un connazionale, forse lo stesso Andrea), già presidente dell’Associazione fra le famiglie delle vittime di Bruxelles, quando abbiamo dato il ‘visto si stampi’ mi ha detto: “Ecco, questa è la verità”. Troppo spesso ci si dimentica, infatti, che i familiari delle vittime sono stati ‘silenziati’ per diciotto lunghi anni e che il mio libro, volenti o nolenti, è stato il primo ad aprire uno squarcio sul velo di omertà che ha sempre coperto la tragedia dell’Heysel, mi sono chiesto spesso cos’abbia fermato penne ben più importanti e famose della mia, chissà. Il loro riconoscimento per me è la cosa più importante, anche se per onestà intellettuale devo dire che c’è chi, tra i familiari, mi ha rimproverato per essere stato troppo crudo e diretto nel racconto».
6. Hai letto altre cose sull’Heysel se puoi dirmi un altro libro che mi consiglieresti e consiglieresti ai nostri lettori?
«“L’ultima curva” di Nereo Ferlat, “Heysel. La tragedia che la Juventus ha cercato di dimenticare” di Jean-Philippe Leclaire e “Coriandoli bianconeri” di Riccardo Gambelli; poi consiglio la lettura del sito di Domenico Laudadio saladellamemoriaheysel.it».
7. Ogni tanto noto che hai degli scontri verbali, specie su Facebook, con degli ultras, soprattutto Juventini. Il tuo rapporto con loro mi pare sia stato sempre molto severo nei loro confronti, nonostante molti ultras bianconeri oggi hanno mitizzato questa cosa dell’Heysel, non hai fatto mai loro nessuno sconto. Mi spieghi perché?
«Be’ quando si parla di Heysel io non faccio sconti a nessuno, nemmeno a me, e poi dipende sempre dall’approccio e dall’educazione. In troppi, in generale, pensano che sui social o per mail si possa aggredire senza pagare dazio, per giunta con tanta, troppa, disinformazione alle spalle. Ma la cosa che più mi da fastidio sono coloro che parlano della tragedia di Bruxelles bypassando i familiari delle vittime, come se non contassero, come se non dovessero dire la loro, come se non fossero il fulcro di tutto: dove ci sono i morti, c’è un dolore enorme che il tempo ha acuito, lì ci sono famiglie e familiari che meritano memoria e rispetto, se non altro per l’enorme dignità dimostrata in tutti questi anni, soprattutto verso chi ha cercato di dimenticarli. Hai detto bene “hanno mitizzato”, innalzato, messo su un piedistallo senza però farci i conti veramente, perché è dura, perché è difficile, perché significherebbe fare i conti fino in fondo anche con la storia della Juventus e con una coppa che per me non ha alcun valore sportivo. Dopo di ché, per correttezza, devo sottolineare come ci siano familiari che la pensano nello stesso modo e altri che invece considerano quella coppa un trofeo da tenere nello scranno più alto della bacheca, questa libertà di pensiero loro se la sono conquistata col sangue quindi merita il massimo rispetto, gli altri no. Comunque, è vero, i problemi più grandi li ho incontrati con i tifosi juventini, da una parte dimostrando quanto non sia per niente banale o capziosa la mia prima risposta, dall’altra, però, andrebbe chiesto a loro il perché. Un morto non è un vessillo, una sciarpa, un trofeo, non si può sbandierare, si può solo rispettare, se ne siamo capaci, come Claudio “Il Rosso” che porta allo stadio il solito striscione in onore dei 39 morti. Anche lui è un ultrà, anche lui è un tifoso della Juventus, ne difende i colori, la memoria, così come quella della curva che ha vissuto in pieno, eppure ci siamo sempre confrontati con grande civiltà, stima e rispetto. Allora la domanda la faccio io agli altri, perché?».
8. In passato mi sono occupato anche io di questo argomento, sono amico di Carla Gonnelli che ha perso suo papà e che ha rischiato lei stessa di perdere la vita all'Heysel, e sono amico di Giulia Bodnari che con suo marito Rossano si occupano del monumento ai caduti dell’Heysel di Reggio Emilia. Occupandomi di questo argomento ho trovato spesso che le stesse famiglie delle vittime forse con un grande senso di pudore e di dignità hanno rinunciato forse un poco troppo a raccontare le loro storie. Non so se tu hai questa sensazione? È forse accaduto che il dolore le ha fatte chiudere esageratamente a riccio. Perché è avvenuto questo?
«Giulia in questi ultimi anni sta facendo un lavoro enorme che non potrò mai smettere di ammirare e ringraziare. In merito ai familiari delle vittime credo di aver già risposto approfonditamente sui tanti perché. Alla fine mi rendo conto della fortuna che ho avuto con Otello Lorentini, lui che aveva assistito a tutte le udienze del processo in vece delle altre famiglie, lui che aveva conservato tutto il materiale di quegli anni, ha permesso di addentrarmi in quella tragedia dalla porta principale senza dover disturbare (troppo) il dolore degli altri familiari, non sarebbe stato facile, non sarebbe stata la stessa cosa, al contempo ho rischiato molto, sia da uomo che da giornalista, ma Otello è una persona speciale. Ci sono mogli che non hanno più rivisto il marito è mi hanno detto che dopo 28 anni il vuoto è ancora più profondo, un gorgo impossibile da colmare, ecco basterebbe questo, basterebbero le vite stravolte di tante persone per capire che l’Heysel è innanzi tutto la loro storia e solo in un secondo momento lo è anche della Juventus. Poteva essere diverso, invece... Ergo, senza rispetto di modi e parole meglio tacere, tanto nessuno potrà mai cambiare la storia di quella tragedia e le sue verità».
9. Con enorme mia sorpresa il tuo libro anche a distanza di tantissimi anni dall’accaduto è uno dei libri ancora più venduti, perché questa necessità della gente di leggere di questo argomento?
«Non ho una spiegazione precisa, voglio solo sperare che il mio libro piaccia e che ci sia la volontà di saperne di più su una tragedia troppo spesso e troppo in fretta dimenticata. Più venduto, però, non vuol dire automaticamente più successo, per tutto ciò che ci siamo detti fino ad ora affermerei che così aumentano i miei estimatori ma anche i miei detrattori (permettimi la battuta)».
10. I responsabili dell’accaduto hanno pagato tutti o c’è chi l’ha fatta franca?
«In primo grado furono tutti assolti, ma alla fine possiamo dire che c’è stata una giustizia. Era, però, impossibile pensare che il Belgio riuscisse a condannare le proprie istituzioni, che l’hanno fatta letteralmente franca, così ha pagato il capitano della polizia, Mahieu, per tutti. In compenso la condanna dell’Uefa è stata storica e ha fatto giurisprudenza, cosa anche questa mal raccontata e buttata troppo presto nella soffitta dei ricordi; grazie al coraggio di Otello Lorentini e dell’avvocato italobelga Daniel Vedovatto che l’hanno citata in giudizio. Anche gli hooligans l’hanno fatta franca, in relazione a quello che era accaduto, ma la condanna dell’Uefa andrebbe studiata ancora oggi (soprattutto da Platini e soci), in questo senso l’appendice dell’avvocato Vedovatto è illuminante».
11. Hai avuto problemi che so di querele, minacce, o quant’altro, da qualcuno che magari non ha gradito come hai riportato i fatti? Se puoi dirmi anche chi se è possibile, mi piacerebbe.
«C’è stata una querela ma solo per colpa del vecchio editore e dei suoi collaboratori, subito ritirata nei miei confronti quando è stato chiaro l’errore. Per il resto non avevo nulla da temere con due certificazioni di qualità come quelle di Otello Lorentini e Daniel Vedovatto. Questo non toglie che il libro abbia dato fastidio a molti, ma una cosa mi ha letteralmente scioccato. Ero insieme ad altri colleghi a una trasmissione televisiva dedicata all’Heysel e in un momento di pausa uno si avvicina e mi fa: “Ma tu sei matto?”. “Perché?”, rispondo io. “Dare contro alla Juventus” chiosa. Non so come devo averlo guardato. Una cosa è chiara, il libro non fa sconti a nessuno e ognuno sa come si è comportato, chi ha fatto e detto cosa, ci sono immagini e foto che raccontano più di ogni libro, ci sono famiglie che aspettano ancora le scuse, dopo 28 anni. Mi dispiace ma io non faccio sconti a nessuno, troppo dolore e poca memoria. Poi ci sarebbe una mail… che ho promesso di non rivelare a chi me l’ha girata, sono un uomo di parola e non tradisco».
12. La Juventus del Presidente Andrea Agnelli che rapporto ha con questa tragedia è cambiato qualcosa rispetto al passato? Trovi che la Juventus come giocatori e come squadra dovrebbe ricordare ogni anno questa ricorrenza magari anche con dei fiori allo stadio o qualcos’altro?
«Andrea Agnelli ha il merito, enorme, di aver riaperto il libro dell’Heysel dopo 25 anni in casa Juventus, un atto di coraggio con la messa e con una parte del museo dedicata alla tragedia di Bruxelles (spero che abbiano corretto un cognome di una delle vittime, inizialmente sbagliato). Mi piacerebbe che continuasse, non so se hai visto come a Liverpool (già, proprio loro) ricordano Hillsborough ogni anno, l’Heysel è la Superga della Juventus, dovrebbero ricordarla con identico onore e rispetto».
13. I giocatori della Juventus attuale non mi sembrano granché coinvolti nella cosa è giusto cosi o andrebbero maggiormente informati? In fondo anche i più anziani come Buffon e Pirlo all’epoca dei fatti erano piccolissimi, figuriamoci gli altri.
«Loro non c’erano, ma Pioli c’era e pare essersene completamente dimenticato, come Prandelli d’altronde, peccato li stimo molto come tecnici. A questi giocatori, a questa nuova Juventus possiamo chiedere solo il rispetto della memoria, quello che una grande società deve a una tragedia del genere, basta imparare da chi ha saputo fare meglio in tutti questi anni. Il post più emozionante lo ha scritto Del Piero quando era ancora a Torino, un ricordo di quella notte da bambino, uno dei suoi ‘gol’ più belli in maglia bianconera».
14. Ti vedremo a Reggio Emilia quest’anno?
«Sono un freelance in balia della professione, quindi non posso fare promesse: se il lavoro me lo permette ci sarò».
Grazie a Francesco Caremani
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